"La marcia era durata alcuni giorni e s'erano susseguite le battaglie, aspre tutte e disperate, per la conquista di un riparo che consentisse di superare la notte o per rompere un accerchiamento improvviso. Ma il 26 gennaio a Nikolajewka, i russi, con un'intera divisione attestata sui bastioni ferroviari, decisero di farla finita con quella colonna di tenacissimi disperati che si trascinavano sulla neve. Cinquemila uomini bene armati, freschi, ben nutriti, contro quell'immensa colonna, in testa alla quale solo settecento od ottocento uomini ancora armati, e ancora in forze, attaccarono senza esitazione. Gli altri, aspettavano, affamati, sfiniti, che quei pochi aprissero la via; e quei pochi sapevano che dietro c'erano soldati senz'armi, senza volontà, senza speranza che si trascinavano e gemevano. era rimasto solo un pezzo semovente tedesco, poche armi automatiche, baionette, rivoltelle e accanimento. Tutti insieme quegli uomini, che non avevano più gradi, si buttarono avanti e furono respinti; rientrarono e rimasero in pochi; caddero 40 ufficiali, il colonnello Adami del V, fu ferito ad una gamba, il comandante il II artiglieria a un braccio e non abbandonò il suo posto; il tenente colonnello Baldo della "Vicenza" venne falciato da una raffica. C'erano don Gnocchi, che oggi è il protettore dei mutilatini, cappellano della "Tridentina"; Novello, il pittore, che là era capitano; il baritono Capuzzo coi gradi da tenente colonnello e un giornalista corrispondente di guerra, Gianni Calvi; alto, impassibile col suo viso roseo e sereno, Signorini, il colonnello del VI che morirà poi, improvvisamente, ormai a Schebekino, ormai fuori dalla sacca, schiacciato dalle fatiche e dall'assillo. Tutti si prodigavano, ma non facevano breccia, contro i russi che avevano cannoni, armi automatiche, mortai. Fu a questo punto che il genreale Reverberi sentì che toccava a lui. A lui e a nessun altro. Saltò sul semovente, mise in moto, puntò diritto sul terrapieno e urlò col fiato che ancora aveva: « "Tridentina", avanti! ». Dietro di lui tutti. Gli uomini validi, i feriti che stavano ancora in piedi, gli uomini sfiduciati, i disperati, i decisi, tutti, una furia; e una furia di fuoco che si scatenò da parte del nemico. Gli alpini passarono, sorpresero i russi, li travolsero, li fecero prigionieri, catturarono 14 cannoni, li voltarono contro il nemico e si aprirono la via, dopo quattordici combattimenti, la via del ritornmo in patria."
Tratto da un articolo di Arnaldo Cappellini pubblicato sul settimanale OGGI del 1 febbraio 1951.
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